
Una stella di stoffa,
gialla come un grido strozzato,
leggera eppure pesante come la storia.
Era il segno di chi non doveva essere,
di chi camminava tra gli sguardi bassi,
un’identità ridotta a vergogna
cucita sul cuore con aghi di odio.
Il filo spinato tratteneva il cielo,
stringeva la libertà in pugni di ferro.
Ogni nodo era un respiro rubato,
ogni punta, una promessa infranta.
Dietro quelle barriere
vivevano ombre senza nome,
anime accese come candele al vento,
destinate a spegnersi in un soffio.
E i binari…
Lunghi, interminabili,
serpenti d’acciaio che ingoiavano vite.
Portavano via i sogni
e li restituivano in cenere,
mentre il mondo guardava altrove.
Ogni rotaia era un addio,
un passo verso il vuoto
che nessun ritorno avrebbe mai colmato.
Ma i segni restano, incisi sul tempo,
parlano a chi sa ascoltare.
E noi, figli della memoria,
camminiamo tra quelle tracce
con il peso del ricordo,
perché nessuna stella, nessun filo,
nessun binario
dovrà mai più spezzare la dignità di un uomo.
Packy
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