
Chi sono io, se non il canto
di chi mi ha posto in questa terra?
Un filo intrecciato, saldo e santo,
tra valli di pace e giorni di guerra.
Recito un ruolo, ma è verità,
nessuna maschera, nessuna illusione.
È il dono prezioso dell’eredità,
che porto in cuore come missione.
Il vento mi parla con antiche voci,
la pietra mi chiama per nome.
Sono figlio di campi, di mani tenaci,
di cuori che ardono, di fiamme e di fame.
Essere radice che non si spezza,
è trovare forza in ciò che è stato.
Interpretare il passato con saggezza,
perché il futuro non sia sprecato.
Sul palco della vita il mio ruolo è chiaro:
custode di origini, pellegrino nel tempo.
Ogni gesto che faccio è dono raro,
ogni passo è eco di un antico lamento.
E così, danzo nel gioco eterno,
con occhi rivolti al cielo stellato,
sapendo che il legame più paterno
è il primo seme che mi ha segnato.
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